Il romanzo racconta di due pratiche diffuse in quel periodo, i figli dell’anima e l’Accabadora. La prima rappresenta l’acquisto da parte di una donna che non può aver figli di un bambino, che diventerà figlio dell’anima. Maria la piccola protagonista di questo libro è proprio una di queste e crescerà in casa di Bonaria Urrai. La seconda pratica è quella dell’Accabadora, colei che finisce, una donna che pratica l’eutanasia. La trama è abbastanza avvincente, il linguaggio è scorrevole e ha degli attimi di delicata durezza. Nonostante l’accabadora possa sembrare una “strega”, poiché conosce fatture e riti magici, non è affatto una donna priva di sentimenti anzi, pone fine alla vita di ormai individui moribondi, sempre con lo sguardo verso Dio. Infatti, quando un ragazzo, dopo essere stato ferito in un incidente di caccia e aver perso la gamba, Bonaria tentenna un po’ prima di porre fine alla vita del giovane che la supplica di ucciderlo, e “minacciandola” usando le azioni “mortali”della donna contro di lei. l’altra protagonista è Maria, che scoprendo cosa faceva la Tzia, con l’aiuto della sua insegnante va a lavorare a Genoa, scappa dalla vita che l’avrebbe imbalsamata in un mondo circoscritto fatto di usanze primitive. Tuttavia, la ragazza dovrà tornare e tornerà quando le comunicano che l’accabadora ha avuto un ittus (ictus). Tornerà e si troverà il destino da cui è sfuggita. Un a storia molto intensa e cruda. L’unico neo è corta. Le vicende avrebbero potuto avere più spazio narrativo. Gli ultimi due capitoli scritto frettolosamente, ho dovuto rileggerli, volevo un finale che completasse la vita di Maria. Nel complesso mi è piaciuto.

Elena Antonini