La protagonista di questo romanzo è la professoressa Maiorano, insegnante di matematica presso un penitenziario minorile della Campania. Leggendo il breve testo viene fuori un suo ritratto abbastanza completo: è una donna che ha trovato l’amore in età adulta, che ha desiderato fortemente che la felicità coniugale fosse suggellata da un figlio, ma ormai è vedova da tre anni e l’unica cosa che le resta è il proprio lavoro. Ed è proprio all’interno del penitenziario che incontra Almarina, ragazzina romena fuggita dal proprio paese, e dal padre violento, insieme al fratello più piccolo. Almarina colpisce e conquista la professoressa e questo incontro aiuta quest’ultima a risalire la china. In realtà “Almarina” non è il tipico romanzo che ci si aspetta di leggere e lo si capisce fin dalle prime pagine; si tratta di una sorta di monologo intimistico in cui i pensieri seguono il proprio corso con poca linearità ed è costellato da frasi brevi e pochi dialoghi. Lo stile è particolarmente ostile al lettore in alcuni punti e, subito dopo aver letto le prime pagine, il primo pensiero che mi è passato per la mente è: “questo è un libro di nicchia”. È innegabile che si debba avere una preferenza per questo tipo di scrittura per amare pienamente il libro, ma, nonostante ciò, forse mi sono man mano abituata, è un libro che ho apprezzato. La sua forza è rappresentata dalla scelta di rappresentare e comunicare sentimenti potenti, penso che la trama, in fin dei conti, sia del tutto secondaria.

Anto Spanò