“Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog. C´era della gente che pensava fosse toccato, e per qualche tempo persino lui l´aveva dubitato. Ma adesso, benché continuasse a comportarsi in maniera un po´ stramba, si sentiva pieno di fiducia, allegro, lucido e forte. Gli pareva di essere stregato, e scriveva lettere alla gente più impensata … scriveva a più non posso, freneticamente, ai giornali, agli uomini politici, ad amici e parenti e finì per scrivere pure ai morti, prima ai suoi morti e poi anche ai morti famosi.”

È l’incipit della storia del tenero Moses Herzog, un ebreo americano che un tempo era bello, che si è sposato due volte, che ha due figli con i quali è affettuoso, ma non è un buon padre. Ha lasciato New York per andare a vivere in campagna e ha lasciato la carriera universitaria per potersi dedicare alla scrittura. Scrivere è la sua passione. Il suo capolavoro incompiuto, ottocento pagine di discorsi caotici, è custodito in una valigia all’interno di un armadio, e se si sposta di città in città, la sua opera si sposta insieme a lui.
Chi si aspetta un romanzo che descriva una storia ricca di avvenimenti e di azione rimarrà deluso. Qui siamo di fronte a un’analisi approfondita del pensiero, dei sentimenti, delle schizofrenie e delle idiosincrasie di un personaggio/intellettuale, che non trova più alcuna collocazione in un mondo eccessivamente materialista: quello che in qualche modo ha rappresentato Woody Allen nei suoi migliori film.
È il primo libro che leggo di Saul Bellow e, anche se probabilmente in questo romanzo potrebbe sembrare eccessivo lo sfoggio di erudizione, con frequenti citazioni di artisti famosi, letterati, filosofi e storici, elementi scientifici, che l’autore fa in quest’opera grandiosa, io ne sono rimasta assolutamente affascinata. Bellow è un vero narratore, a volte divertente e dotato di umorismo caustico. Grande osservatore dei costumi e della cultura americana russa e yiddish.

Daniela Ceccotti