“Ho scritto t’amo sulla tela” potremmo considerarlo il seguito di “A piedi nudi nell’arte”. Alla fine di questo libro avevamo lasciato l’autore in compagnia di Alessia, una ragazza conosciuta quel giorno. E il nuovo libro si apre con uno scambio di messaggi tra lui e la ragazza, che daranno l’impulso alla narrazione. “La prima volta che mi sono innamorato è stato nel 1512. All’epoca vivevo a Roma e frequentavo la cerchia di Agostino Chigi, l’uomo più ricco del suo tempo. Non sono mai stato interessato ai soldi, ma riconosco di essere attratto da quelle persone il cui capitale oltrepassa esageratamente l’idea della ricchezza che tutti noi, anche solo con la fantasia, possiamo immaginare. Quando parlo di capitale non mi riferisco solamente ai soldi, ma anche al talento, alla bellezza, persino al potere purché in forma eccessiva, debordante, che superi cioè l’idea stessa di talento, di potere e di bellezza.”
La prima è la ninfa Galatea, del “Trionfo di Galatea” di Raffaello Sanzio, al secolo Francesca Ordeaschi, moglie di Agostino Chigi.
“Francesca Ordeaschi da Venezia. Era una ragazza ventenne di famiglia borghese – il padre fosse un mercante di beni preziosi e di spezie – eppure si diceva avesse un futuro da cortigiana. Quello che posso dire è che riuscì laddove nessuno era mai riuscito: entrò nel cuore di un uomo che, fino a quel momento, sembrava non essersi innamorato mai.”
A lei seguono altre undici donne che l’autore ci descrive dettagliatamente:
Non basterebbe una vita per raccontare le donne che ho incontrato.
Fino a ora ne ho descritte undici, ma ce ne sarebbero tante altre.
Undici, che nella mia fede laica nei confronti delle donne rappresentano <<gli undici comandamenti>>, perché in fondo ognuna di loro lo è stata, un comandamento: Galatea la bellezza dei vent’anni; la Venere di Urbino la sensualità; Brigida Doria Spinola la solitudine; Cleopatra il potere; la Donna in bianco l’abbandono; Alma Mahler la tempesta; Dora Maar la bellezza intelligente; la Venere degli stracci la bellezza coerente; Ana Mendieta il corpo; Marina Abramović la sincronia con l’ingranaggio.
Tuttavia, il sentimento che ho provato per queste donne non sempre è stato corrisposto.
Anzi, per la verità quasi mai.”
A queste aggiunge la madre di Umberto Boccioni.
“L’arte è una madre che prima genera figli e poi li consegna al mondo.
Galatea, la Venere di Urbino, Brigida Doria Spinola, Cleopatra, la Circassa, Alma Mahler, Dora Maar, la Venere degli stracci, Ana Mendieta, facevano parte della stessa famiglia.
Erano come quei quadrati di lana che tu cucivi per farne una grande coperta.”
Una lunga lezione d’arte, dodici donne di cui anch’io mi sono innamorata, le conoscevo tutte tranne una che mi ha enormemente incuriosita, Ana Mendieta. La sua opera e la sua vita mi hanno appassionata e stimolato.
“A farmi innamorare di lei fu una fotografia che vidi un giorno nel suo studio: completamente nuda e ricoperta di fango, Ana era appoggiata a un albero con le mani alzate, i gomiti piegati a novanta gradi. Più che appoggiata, mimetizzata. Più che mimetizzata, parte integrante della natura.”
Un consiglio per chi legge il libro: cercate di volta in volta le immagini che descrive l’autore, renderà la lettura ancora più piacevole.
Un libro oltre che interessate estremamente gradevole, una lunga lezione di arte scritta in maniera piacevole, attraente e appassionante, mai noiosa, anzi molto stimolante.
Vi lascio con la mia frase preferita:
“Le opere d’arte sono come le persone, ci si può innamorare in un istante e quell’istante può durare tutta la vita. Oppure, al contrario, può trattarsi solo di un flirt passeggero.”
Marica C