Trieste

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

“Umberto Saba” Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta, scrittore e aforista italiano. Viene riconosciuto come uno dei poeti italiani più importanti del 900, capace con la sua poesia a differenziare la poeti del 800 a quella moderna con semplicità. scrivendo la raccolta Il canzoniere vero e proprio capolavoro. Fu amico di Giuseppe Ungaretti e Eugenio Montale. Il 9 marzo del 1883 nasceva a Trieste, Umberto Saba da Ugo Edoardo Poli e Felicita Rachele Coen (di origine ebrea per questo durante la seconda guerra mondiale fu costretto a rifugiarsi a Parigi). Il 25 agosto del 1957 moriva a Gorizia, Umberto Saba (Anche indebolito dalla perdita della moglie)

– Cossa el ga? El xe stanco?
– No. Son rabiado.
– Con chi?
– Col paròn. Con quel strozin. Un fioreto e mezo per caricar e scaricar due cari.
– El ga ragion lei.
Questo dialogo (che riporto, come i seguenti, in dialetto; un dialetto un po’ ammorbidito e con l’ortografia il più possibile italianizzata, nella speranza che il lettore – se questo racconto avrà mai un lettore – possa tradurlo da sé) si svolgeva a Trieste, negli ultimissimi anni dell’Ottocento. Gli interlocutori erano un uomo – un bracciante avventizio – ed un ragazzo. L’uomo era seduto su un mucchio di sacchi di farina, in un magazzino di Via… portava in testa un grande fazzoletto rosso, che gli scendeva giù dalle spalle (questo per proteggere il collo dallo strofinamento dei sacchi). Era un uomo giovane, sebbene apparisse – come notava Ernesto – un po’ stanco; ed il suo aspetto aveva qualcosa di lontanamente zingaresco, ma di uno zingaresco molto attenuato, molto addomesticato. Ernesto era un ragazzo di sedici anni, praticante di commercio in una ditta che comperava farina dai grandi Mulini dell’Ungheria, e la rivendeva ai fornai della città.

“Da Ernesto”