Noi siamo sardi
Noi siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo il regno ininterrotto del lentisco,
delle onde che ruscellano i graniti antichi,
della rosa canina,
del vento, dell’immensità del mare.
Siamo una terra antica di lunghi silenzi,
di orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi siamo sardi.

“Grazia Deledda” Grazia Maria Cosima Damiana Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936), è stata una scrittrice italiana. Viene riconosciuta come una delle scrittrici italiane più importanti dell’epoca, inoltre fu la prima donna italiana e la second al mondo a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1926, la prima fu la svedese Selma Lagerlöf. La Deledda fu vicino al decadentismo movimento artistico nato in Francia tra la fine dell’800 e del 900) rispetto al verismo come la collocarono alcuni letterati del tempo come Giovanni Verga e Luigi Capuana. Inoltre la scrittrice fu immeritatamente dimenticata con il tempo. Tra i suoi capolavori consiglio di leggere: Cenere, Canne al vento, l’edera, Cosima, La madre, Nel deserto e moltissimi altri…..Il 28 settembre del 1871 nasceva a Nuoro, Grazia Deledda da  Giovanni Antonio Deledda e Francesca Cambosu. Muore il 15 agosto del 1936 a Roma.

Tutto il giorno Efix, il servo delle dame Pintor, aveva lavorato a rinforzare l’argine primitivo da lui stesso costruito un po’ per volta a furia d’anni e di fatica, giù in fondo al poderetto lungo il fiume: e al cader della sera contemplava la sua opera dall’alto, seduto davanti alla capanna sotto il ciglione glauco di canne a mezza costa sulla bianca collina dei Colombi.
Eccolo tutto ai suoi piedi, silenzioso e qua e là scintillante d’acque nel crepuscolo, il poderetto che Efix considerava più suo che delle sue padrone: trent’anni di possesso e di lavoro lo han fatto ben suo, e le siepi di fichi d’India che lo chiudono dall’alto in basso come due muri grigi serpeggianti di scaglione in scaglione dalla collina al fiume, gli sembrano i confini del mondo.

“Da Canne al vento”