Leggere un giallo  di Agatha Cristie ormai si sà, è una garanzia. L’assassinio di Roger Ackroyd è forse il romanzo più discusso di Agatha Christie, quello che ha ribaltato le regole del giallo classico.
Il narratore è la voce che accompagna il lettore, il filtro su cui ci si affida. Qui però diventa parte del mistero stesso. La Christie sembra dirci: “Mai dare per scontato chi ti racconta la storia”. È un gioco che mette in crisi la relazione lettore–libro.
Fino ad allora il “patto” era: l’autore ti dà gli indizi, tu puoi arrivare alla soluzione. Christie non rompe questo patto, ma lo piega: gli indizi ci sono, solo che la prospettiva è falsata. Ti lascia con la sensazione di essere stato ingannato onestamente.
Il ruolo della verità. La vicenda suggerisce che la verità non è mai lineare: dipende da chi la racconta, da ciò che decide di mostrare o nascondere. Una riflessione che va oltre il giallo, tocca la vita quotidiana: quante volte le storie che ascoltiamo sono parziali, manipolate? Direi fin troppo attuale per certe dinamiche.
Poirot come “specchio”. Non è tanto l’uomo che risolve, quanto quello che riflette indietro le contraddizioni, i silenzi, le omissioni. Alla fine, più che la genialità di Poirot, colpisce la sua calma nell’ascoltare e nell’osservare.
Nonostante il colpo di scena, il libro lascia aperta una riflessione: l’assassino è un mostro? O qualcuno intrappolato da scelte e circostanze più grandi? La Christie non scivola mai nella giustificazione, ma neanche nel puro manicheismo. Un romanzo da leggere!!

 

Angelica