Nel libro, pubblicato nel 1963, Lieta Harrison diede come definizione di svergognate: “..ragazze che con il loro comportamento incorrono nel giudizio negativo della società siciliana..”. Lieta, classe 1938 madre inglese, padre americano e nata a Ragusa, iniziò le interviste nel 1961 e, nonostante il testo vantasse una prefazione di Pier Paolo Pasolini e un’appendice di Federico Fellini, il libro non ebbe una pubblicità di peso e fu presto dimenticato, molto probabilmente perchè erano pochi coloro interessati a sentir parlare di condizione femminile, in un periodo che il movimento femminista era ancora in là a venire. Il docu-libro si articola in 22 brevi capitoli e si apre con una testimonianza diretta, alcune aberranti, seguita da svariate risposte che Lieta ha raccolto per strada. Il quadro che ne emerge non è incoraggiante: la donna è un essere incapace di pensare, deve farsi consigliare dagli altri “più grandi”, dall’uomo è considerata un oggetto e tutto quello che accade in famiglia deve rimanere tra le mura domestiche; ciò che più conta è l’opinione altrui, il cui disprezzo provoca isolamento ed emarginazione. Per gli intervistati è meglio una donna assassina che una ragazza-madre: a detta di uno studente di giurisprudenza, la prima in tribunale si può difendere, la seconda ha una vita diffiicile, sebbene molte ragazze riconoscono che la cosa “nel continente” è diversa. Harrison, maltrattata lei stessa nel corso delle sue interviste, sbatte in faccia la reale condizione della donna e qualcuno leggendolo poco dopo l’uscita, si è sentito offeso, ritenendolo un insieme di luoghi comuni. Nel capitolo conclusivo, Lieta esprime la forte convinzione che la donna vincerà, ma siamo certi che sia veramente così?

recensione di Cinzia Scanferla