Nata in una famiglia agiata di rigida tradizione islamica, Kunniupattumma cresce chiusa in una prigione dorata, le cui sbarre sono rappresentate dalle rigide regole di una struttura sociale basata sulla separazione fra i musulmani e gli altri, i kafir, destinati all’inferno, per i quali la giovane protagonista nutre una segreta simpatia. Ogni volta che prova a manifestare questo suo sentimento, tuttavia, la madre le ricorda i suoi natali e la ricchezza della sua famiglia, il cui capostipite, Makkar, aveva potuto addirittura permettersi di possedere un elefante. Mentre si avvicina il giorno del matrimonio, che la famiglia ha combinato per lei, il destino gioca un brutto scherzo e, per un improvviso rovescio di fortuna, la famiglia di Kunniupattuma cade in miseria. Emarginata da tutti e costretta a trasferirsi in campagna, la giovane scopre una nuova dimensione, quella della vita dura, dei sacrifici, dell’indigenza, ma anche della libertà e dell’amore, una vita in cui il racconto del nonno e del suo elefante, un tempo segno di distinzione sociale, si riduce a una sorta di mito svuotato di significato, esattamente come erano prive di significato le rigide convenzioni che avevano segnato la precedente vita della famiglia. L’incontro con il giovane Nisar Ahmad, la scoperta dell’amore, l’amicizia con Aisha, l’amarezza per la consapevolezza di non aver potuto studiare, in quanto donna, segnano il passaggio di Kunniupattumma dall’infanzia all’età adulta, passaggio stigmatizzato dalla solitudine e dalla mancanza di dialogo con una famiglia che vive nel rimpianto di uno status perduto, di cui l’elefante del nonno è oramai vuoto simbolo. Un libro da leggere assolutamente, per la prosa limpida e scorrevole e per la storia narrata con un’ironia sagace, che riesce a far sorridere il lettore, pur affrontando temi problematici e irrisolti, dal dialogo interreligioso, alla condizione della donna e alla povertà estrema in cui vivono aree sempre più vaste del nostro pianeta.

Baldini Castoldi Dalai editore

recensione di Maria Carolina Campone