Un “giallo storico”,  ambientato nella Genova degli inizi del ‘600. L’azione si svolge in occasione della festa di Carnevale. La protagonista è Pietra, la “Tunisina”. Ospite di un orfanotrofio nei suoi primi anni di vita, Pietra è successivamente adottata da una famiglia di corallai che vive nell’isola di Tabarka, nei pressi della costa tunisina.  Dopo la morte violenta dei suoi genitori Pietra trova ospitalità presso la nonna, a Genova. . Nella città le due donne conducono la loro squallida ed incerta esistenza in una stamberga, miseramente arredata, un tempo adibita a magazzino per il materiale da pesca. Pietra è una giovane donna che ha fama di essere una rabdomante. Molti si rivolgono a lei per essere aiutati nella ricerca di persone o cose scomparse. La giovane opera utilizzando una forcella biforcuta. Grazie a questa forcella, che le da modo di sopravvivere, viene ritenuta una persona dotata di occulti poteri e depositaria di misteri.  Durante il Carnevale una donna viene barbaramente uccisa. Accanto a lei viene ritrovata una forcella  rabdomante probabilmente lasciata dall’assassino. A questo delitto ne seguono altri, Pietra per dimostrare la sua innocenza e sviare i sospetti su di lei, avvia una sua personale indagine e il suo acume le consentirà di riportare alla luce antichi rancori che sono alla base degli omicidi e di smascherare l’assassino. La trama del romanzo, originale e ben costruita, avvince il lettore fin dalle prime battute. I personaggi si muovono ed agiscono in un contesto storico -geografico, quello dei “carrugi” genovesi, molto dettagliato, dal quale emerge una “fotografia” assolutamente realistica del contesto umano e sociale dell’epoca. Fin da subito viene a delinearsi il ritratto della protagonista,  dimostra di possedere una grande forza d’animo ed un intuito non indifferente, tale da consentirle di esplorare a fondo l’ambiente ed le persone che la circondano. Stimolante ed avvincente, il romanzo, nel suo dipanarsi, non concede soluzioni di continuità nella lettura. È da leggere tutto d’un fiato!

recensione di Domenico Intini