Erano giovani, belli e spensierati. Forse lei un po’ meno, ma aveva l’entusiasmo di vivere negli occhi da quando lo aveva visto la prima volta. Desiderava ridere, sognava le larghe risate, quella da guance rosse, da occhi lacrimosi dopo lunghi imbarazzi, da mani imbranate ed emozionate alla scoperta della vita che allora sembrava infinita. Lei sognava, lui progettava, disegnava, lei immaginava, lui proponeva e così tra un sogno e un disegno dopo diversi anni tutto diventò esattamente come avevano voluto. Una casa, un letto dove abbracciarsi, una famiglia dove amarsi e riconoscersi, ogni cosa aveva trovato il suo posto. Era bello l’amore, troppo bello da stringersi così forte fino a confondersi. Lui era felice, stava in cima al suo mondo, lei perdutamente innamorata, grata a lui, a tutto, a tutti, per quella fortuna che sembrava immeritata al punto di sentirsi in debito, da credere di non fare mai abbastanza, di mancare sempre in qualcosa fino a cedere pezzo per pezzo ogni cosa di sé.
Era bello, troppo bello l’amore da chiudersi in maniera impercettibile ad ogni nuovo entusiasmo per non venire meno alla sua promessa di fede e devozione a lui. Era bello, troppo bello l’amore da evitargli ogni dolore, ogni preoccupazione, facendogli da scudo contro ogni cosa che potesse nuocere fino a snaturarsi. Si ritrova moglie e madre, con lo stesso amore e con una fatica raddoppiata e triplicata, perché no, non poteva venire meno neanche a quel bene profondissimo che le riempiva il cuore e le svuotava il corpo e l’anima, esausta, ma sempre e per sempre grata alla sorte che l’aveva benedetta. Tuttavia, le notti sembravano non finire mai, non ricordava più un tramonto, era lontanissimo l’eco dell’ultima risata, non ricordava quasi più il suono della sua voce, nello specchio non era neppure in grado di riconoscere a chi appartenesse quella smorfia che non si piegava più in un sorriso.
Era bello, troppo bello l’amore e lei lo sapeva bene perché non l’aveva mai avuto, ma chissà se somigliava al suo perpetuo sacrificio. Eppure sentiva che era così che doveva essere, perché così lei lo aveva immaginato. Doveva dare tutto, ma non si chiese mai a quale prezzo e in cambio di cosa. Era in debito con la vita, era stata salvata e lei ora doveva salvare il suo amore a qualunque costo.
Poi la voce di una bimba le disse che non era felice e lei si stupì. E ricominciò la corsa, stavolta alla ricerca di qualcosa per darsi una possibilità di non sembrare agli occhi di quella bimba una fallita, la piccola libellula che somigliava terribilmente a una vecchia se stessa. Dove era finita? Davvero era bello, così bello l’amore da chiedere in cambio una vita al suo servizio?
Il suo bel sogno stava svanendo e si mostrava feroce al suo sguardo, egoista, prepotente e assente, ma onnipresente quando doveva reclamare al mondo la proprietà su di lei. Il silenzio di cui si era circondata cominciò ad alzare il volume e aveva parole sottili e infide, gocce che scavavano la roccia delle sue certezze, lame appuntite che segnavano le sue sicurezze. Ma lei lasciava fare, solo che le lacrime non tornavano più indietro, voleva addomesticarle e nasconderle, non servì neanche, erano invisibili per il suo grande amore. Gli parlava con gli occhi inondati e non li vedeva, la scansava come un intralcio. Allora lei cercò una via d’uscita, qualcosa che la portasse in mondi lontani senza muoversi di casa, garantendo la sua costante presenza. Scriveva, scriveva ovunque e tutto ricominciò ad avere un senso. Non pianse più, ma ogni lacrima diventò un verso, un grido rivolto al mondo al quale non chiedeva nessuna carezza che intanto si nutriva gli occhi della sua bellezza e del suo pianto.
Era bello, troppo bello l’amore che d’improvviso le chiese anche un altro prezzo, rinunciare a quel passatempo inutile che gli rubava attenzioni e tempo prezioso, ma quando si ritrovò a fare il conto di un solo granello di gioia per lei in una clessidra che fagocitava tutto per l’altro senza saziarsi mai, sentì la tigre ruggirle dentro. Placò anche lei, la rimise in un angolo perché aveva fatto una promessa: non sarebbe mai stata quella che lascia, quella che abbandona il campo nel mezzo della battaglia, ma quella che sarebbe morta di speranza e attesa, che avrebbe offerto anche al peggior nemico in cambio la sua vita perché niente le portasse via quell’amore bello troppo bello, che le aveva spento anche l’anima. Così fino alla fine non volle vedere e né sentire quanto invece fosse stata umiliata, tradita, ingannata, fino all’ultima mortificazione di concedersi a lui pur sentendogli addosso il profumo di un altro amore, che forse stava nascendo o semplicemente si stava prendendo gioco di lei e delle sue sciocche convizioni, che viveva da padrona nella sua vita, godendo delle cose che erano sue e ridendo della sua ingenuità. Avrebbe fatto di tutto per stringerlo forte ancora una volta, ma comprese anche che non aveva più niente da dare, che aveva esaurito anche il più piccolo pezzo di cuore quando vide i suoi baci e i suoi abbracci rubati da un’altra e non fu neanche questo a puntarle un pugno dritto in fronte fino a scuoterla e svegliarla del tutto.
L’amore bello, troppo bello, quasi rideva di lei perché si aspettava che lei accettasse, perché rientrava nell’ordine delle cose. Gli uomini tradiscono, le donne perdonano. Lei gli aveva consacrato ogni attimo della sua esistenza, viveva per lui e ora sarebbe morta, ma non doveva morire invece, doveva soffrire come era giusto che fosse, magari anche per un bel po’ di tempo, così da dimostrare a tutti quanto fosse autentico, e poco importava se un solo minuto le era bastato per piegarla fin dentro le ossa e fino a farle sanguinare lo stomaco. Non doveva fare la vittima, doveva essere silenziosa e discreta e possibilmente chiudersi in casa, la gente si sa mormora, ma lei non ci sta, non ci passa sopra, non lo perdona, non ha più niente da sacrificare. E no, l’amore bello non è bello più e non lo è mai stato, in questo sa che non ha a chi dare la colpa se non a se stessa. Si risana, si ricostruisce e vuole vivere, vuole il sole, vuole gli amici, le chiacchierate e le risate che si è negata, ma l’amore bello troppo bello non lo accetta, non può essere che lei non lo voglia più. La minaccia, la perseguita, la segue, usa tutti i mezzi che ha a disposizione per arrivare a lei, direttamente o indirettamente. Lei ricomincia a stare male, il dolore del suo amore bello troppo bello la annienta, non vorrebbe neanche una sua lacrima, scambierebbe qualsiasi cosa per vederlo felice ancora una volta, ma non vuole più darsi in cambio, lei non è una cosa da barattare con la felicità di un altro e sa che nessun amore chiederebbe questo prezzo. Deve guarire, lei per prima dalla sua folle dipendenza e allora viaggia, va all’origine del suo male, dove è cominciata la sua storia di abbandono e di sacrificio per mendicare l’amore e fa pace con i suoi demoni.
Torna alla sua vita ammaccata, ma ancora determinata, e se prima poteva temere il giudizio di chi ancora allora pretendeva che sopportasse in silenzio compiendo il destino di ogni donna votato alla crocifissione per il bene di una famiglia, lei invece aveva riscoperto la sua natura, rispolverato le sue magnifiche ali e accettato di non essere mai stata una parte di quel tutto che l’avrebbe volentieri seppellita nel talamo violato, non da un’altra donna, ma dalla privazione dell’affetto e della reciproca considerazione. Non cercava nessun colpevole, darla ad altri la responsabilità non l’avrebbe aiutata, considerando che era stata partecipe di quella follia anche lei, che aveva tardato a ruggire quando la disistima aveva iniziato ad azzannare la fiducia che aveva in sé, sminuendosi a poco alla volta. Poteva finire così, senza vincitori né vinti, attori e comparse in ordinato e discreto ordine che si ritirano dalla scena, ma l’amore bello troppo bello vuole salvarsi, vuole liberarsi di lei chiedendole un ultimo sacrificio, la carne della sua carne, l’anima della sua anima in cambio di una pubblica confessione, la morte sociale che non lascia tracce, una qualsiasi che lo scagioni e che dimostri che in fondo lei se l’è meritato.
A questo punto l’amore di ogni tempo e mondo si è vergognato e ha chiesto di non essere più pronunciato.
Mirela Stillitano