Anche in questo romanzo l’autore prende ispirazione da una vicenda realmente accaduta. Ambientato negli anni ’70 in un paese calabrese chiamato Eranova, fondato nel 1896 da alcuni contadini ribelli. Ci racconta la battaglia tra nostalgia del passato e progresso industriale. Una delle protagoniste è Lina, originaria del luogo, e Lorenzo, studente di Bari, si innamorano mentre cercano di ostacolare la costruzione del “quinto centro siderurgico italiano”. Lina è avanti con i tempi, idealista e attivista, guida la resistenza del paese contro la distruzione culturale e fisica del territorio. Da sottofondo c’è la cultura di un paese con usi e costumi dell’epoca.
Lorenzo, voce narrante, è acuto ma diviso tra amore e frustrazione, e fa da specchio ai lettori nel vedere svanire un sogno collettivo .Il romanzo alterna la narrazione personale di Lorenzo a quella corale degli abitanti, donando spessore alla comunità di Eranova. Abate descrive luoghi e persone con linguaggio lirico, permeato da dialetti, ma tanto efficace da imprimere un senso identificativo e doloroso alla “violenza delle memorie” .
Il romanzo non nasconde il ruolo della mafia e dell’interesse politico-economico dietro al progetto siderurgico.
Eranova è rappresentata quasi come un Macondo italiano: una comunità utopica destinata a scomparire sotto la furia del “progresso”, ho amato molto questa lettura, sono corsa su Internet a confermare la storia, ho provato un grande dispiacere da una parte ma la gioia di aver conosciuto tramite la penna di questo autore che apprezzo molto, “un paese felice ” ormai dimenticato. Abate si ispira anche a Pier Paolo Pasolini, evocato come una voce mancata che avrebbe potuto opporsi, ma viene ucciso prima di agire.
Un paese felice è un romanzo potente che mescola amore, memoria e denuncia civile. È la storia di un sogno collettivo e della sua scomparsa, ma anche un inno alla speranza che dalle macerie dell’ingiustizia può rinascere una coscienza condivisa. La scrittura di Carmine Abate, densa e coinvolgente, cattura dalla prima all’ultima pagina, facendoti sentire il sapore della zagara e la rabbia per la perdita di un’identità.
Angelica
