Il giovanissimo Sherlock Holmes dovrà trascorrere l’estate del 1868 presso gli zii paterni poichè il padre, ufficiale dell’Impero Britannico è stato inviato nelle Indie, la madre e la sorella sono di salute cagionevole e il fratello Mycroft è troppo impegnato con il suo lavoro a Londra. Sherlock pensa che lo stia aspettando un’estate solitaria e noiosissima in casa di sconosciuti che, per giunta, non sono esaltati dall’idea di questo ospite in giro per casa, ma le cose non andranno secondo le sue previsioni. Intanto nella tenuta degli zii conosce il giovanissimo Matthew che vive su una chiatta trainata da un vecchio cavallo e si procura il cibo ricorrendo a vari espedienti. E poi, ovviamente, si troverà al centro di molti guai e si porrà come obiettivo la risoluzione di due strane morti che sembrano far pensare alla peste. Nella risoluzione del mistero, oltre che dal giovane Matthew, Sherlock, il nostro investigatore ancora più dilettante del solito, sarà aiutato dal suo istitutore privato che lo “addestrerà” a usare il ragionamento come fonte primaria per trarre informazioni dall’ambiente e dalle persone. L’idea dell’autore di riempire il vuoto sulle informazioni che riguardano la giovinezza di Sherlock Holmes è intrigante, ma è arduo cercare di far combaciare questo giovane maldestro e ingenuo con l’imponente figura cui ci ha abituati Arthur Conan Doyle. Anche l’intrigo non è poi così appassionante, o per lo meno lo è all’inizio, ma quando ci inoltriamo nelle pagine e andiamo verso l’epilogo, siamo costretti a far la conoscenza di un improbabilissimo assassino. Quindi no, la storia non mi ha convinta. Mi è piaciuta solo la descrizione di un ancora immaturo futuro genio delle investigazioni.

Anto Spanò