“Bug-Jargal” e “Han d’Islanda” sono i primi due romanzi scritti da Victor Hugo. “Bug-Jargal”, scritto nel 1818 a sedici anni, fu pubblicato nel 1826; “Han d’Islanda”, scritto nel 1821, fu il primo romanzo dell’autore ad essere pubblicato e dato alle stampe (nel 1823).
I due libri sono opere della giovinezza di Victor Hugo, non ancora meditativi e d’ampio respiro come i romanzi della maturità dello scrittore. Tuttavia, vi si possono trovare i temi che saranno tipici dell’autore, le critiche che muoverà alla società ed embrioni della scrittura che lo caratterizzerà in futuro.
Le due opere furono criticate per la stranezza dei temi e per la condanna sociale di cui erano portatori, ma certi scrittori, come Charles Nodier (1780 – 1844) lodarono lo «stile vivo, pittoresco, pieno di forza» del giovane romanziere.

“Bug-Jargal” e “Han d’Islanda” sono due romanzi diversi fra loro. Il primo tratta della schiavitù e della sua crudeltà, mentre il secondo tratta di vendetta, amore e pena di morte. Ma si può affermare che questi libri abbiano dei tratti comuni: gli eroi (Bug-Jargal e Han), come più tardi saranno il gobbo Quasimodo in “Notre-Dame de Paris”, Jean Valjean ne “I miserabili” e Gwynplaine ne “L’uomo che ride”, sono all’esterno della società. Il primo detesta l’odio dei bianchi e dei neri, il secondo vive con un odio profondo verso gli uomini.
Un altro punto in comune estremamente importante è l’equilibrio precario che mantiene in piedi le due storie. Tanto in “Bug-Jargal” quanto in “Han d’Islanda”, troviamo anticipazioni importanti di quello che Hugo teorizzerà nella Prefazione del “Cromwell” nel 1827, ovvero il dramma romantico: «È dalla feconda unione del grottesco e del sublime che nasce il genio moderno», scriverà nella più celebre Prefazione della storia della letteratura. In “Bug-Jargal”, l’amore fra d’Auverney e Marie è trattato come un sentimento sublime, ma quest’aura sentimentale è turbata dal personaggio deforme e crudele di Habibrah; così come, sullo sfondo dell’affetto fra Ordener Guldenlew ed Ethel, troviamo stagliarsi i personaggi contorti e grotteschi dell’islandese Han, del boia Orugix, del becchino Splagudry. Dunque Hugo ci dimostra perfettamente quale sarà la sua strada fin dai suoi primi lavori in prosa.
Nei due romanzi ci sono storie avventurose, che non mancano d’atrocità e cinismo talvolta esagerati: Victor Hugo, più tardi, confessò che, in Han d’Islanda, c’è una «diegesi spezzata e ansimante… dei personaggi tutti d’un pezzo… degli scivoloni tremendi… uno stile crudo, scioccante e aspro». E anche il gusto un po’ prevedibile (la cassa con un segreto che si rivela un fulmen in clausula e i travestimenti sono degli espedienti narrativi molto tradizionali) è legato, se vogliamo, a un certo arcaismo conservatore dovuto alle iniziali inclinazioni politiche di Hugo (pensiamo alla diffidenza verso le rivoluzioni in “Bug-Jargal”) sono un po’ autoreferenziali. Ma il realismo, l’efficacia delle azioni e delle riflessioni (sulla pena di morte, sull’amore, sull’anima umana, sulle rivolte e l’odio dell’uomo) o le descrizioni della miseria (dei neri in “Bug-Jargal” e dei minatori in “Han d’Islanda”) sono energiche e saranno fondamentali nella produzione futura dello scrittore. Per esempio, la massima «Gli uomini sono tutti condannati a morte con delle delazioni indefinite», presente nel XLVIII capitolo di “Han d’Islanda”, ritornerà ne “L’ultimo giorno d’un condannato”, cosa che ci porta a pensare che abbia avuto molto successo.
Ed è da sottolineare, in queste opere, soprattutto il loro tratto profondamente romantico. A quattordici anni, Hugo aveva scritto sul suo quaderno: «Voglio essere Chateaubriand o nulla». E in effetti, nelle sue prime esperienze romanzesche, Hugo dimostra di appartenere senza dubbio alla tradizione romantica. Per esempio, le decisioni impulsive e quasi immotivate dei protagonisti di abbandonarsi ai nemici senza opporsi (d’Auverney) o di unirsi ai minatori (Ordener) sono trattate come pulsioni dell’anima che non obbediscono alla ragione. Una frase in particolare, tratta da “Han d’Islanda”, ci rivela l’essenza dello spirito romantico hugoliano: «Vi sono nell’animo e nel destino umano misteri che voi non potete penetrare e che solo il cielo giudica.» (XLIII)
I due romanzi, dunque, hanno rivelato una grande capacità di scrittura e una immaginazione potente, atta a catturare il lettore e a comporre delle immagini energiche.

Eugenio Trovato