E’ il 2019 e Mia, ormai trentenne, è in stazione ad attendere…e nell’attesa di chi, forse, non arriverà, mette nero su bianco la storia che l’ha vista protagonista quand’era appena adolescente. All’epoca Mia era come tutti i suoi coetanei, forse un po’ meno portata a trovarsi al centro dell’attenzione e un po’ più bizzarra nei propri comportamenti, ma niente che le impedisse di relazionarsi con gli altri. Poi un giorno in casa arriva un ragazzo albanese che i genitori di Mia hanno preso in affidamento. Di lui non si conosce nemmeno il nome, solo che è riuscito, chissà come, ad arrivare in Italia, dove ha trascorso del tempo in un orfanotrofio in Puglia. Il ragazzino, inoltre, traumatizzato, non parla, sembra un animale selvatico ed ha uno sguardo particolare, che sembra evidenziare una cattiveria che esiste, ma che non si palesa apertamente. Mia nota quello sguardo, definisce i suoi occhi “buchi”, ma si butta anima e corpo nell’accogliere quel quasi-fratello. Di una cosa è sicura: prima o poi parlerà. E quando ormai il rapporto si sta consolidando, il papà di Mia entra nella stanza e porta via a forza il ragazzo che ha in affido. Da allora Mia non riesce più ad avere notizie di lui e improvvisamente una fobia comincia a manifestarsi: l’afefobia, la paura del contatto fisico. Saranno anni bui, caratterizzati da un senso di perdita e dalla “fefo”, che le impedirà di creare rapporti stabili con chicchessia. Anche i rapporti con i genitori diventano più complessi ed è solo la stramba maestra Margherita a rimanere per Mia un punto fermo, ai consigli della quale si affida con fiducia, per quanto essi siano particolari ed ermetici. Ma alla fine di chi è la ragione? Della testa o del cuore? Bisogna arrivare in fondo per capirlo! Un bel libro, intenso e commovente, che cerca di insegnarci a seguire il cuore in ogni occasione, anche a costo di rimanere delusi. Ne sarà comunque valsa la pena!
Anto Spanò