A Elena 

Neppure una parola
sconveniente disdegnerei,
ma su chi possiamo ricercare?
Su nessuno e da nessuno possiamo.

Forse chiede l’aro
presso la palude l’elemosina?
Le notti respirano invano
coi tropici imputriditi.

Tu giusta apparirai
pensavo, speravo, – da quel mattino
per sempre oscillando
nell’anima come giglio.

Il prato faceva amicizia coi modi
di Faust o di Amleto,
circondava di matricaria,
gli steli per le gambe volavano.

O appena,
come alitando nel sogno
la perla di una collana
sulla spalla di Ofelia.

Spasimava di notte il cascinale:
cirri impedivano
di dormire. Una pioggia sottile intabarrava
il campo di un silenzioso incedere

di gocce guardinghe.
La giovinezza nella felicità veleggiava,
come in un sommesso infantile russare
la federa sazia di sonno.

Pensavo: di Troia a lei sarebbe adatto il tempo,
delle amare labbra la sinuosità baciando:
erano palpebre meravigliose,
regali, di gesso.

Caro, morto grembiule
e tempia pulsante.
Dormi, zarina di Sparta,
è ancora presto, è umido ancora.

Il dolore sul serio
si scatenò ebbro.
Solo con esso è terribile.
Se s’infuria, – te la caverai?
Piangi, sussurrò. Corrode?
Brucia? La stessa sulla sua guancia!
Che sia il destino a decidere:
da madre o da matrigna.

Boris Leonidovič Pasternak (Mosca, 10 febbraio 1890 – Peredelkino, 30 maggio 1960) è stato uno scrittore e poeta russo. Viene riconosciuto come uno dei più grandi poeti e romanzieri russi dell’XX secolo. Il suo capolavoro più conosciuto è Il Dottor Zivago. Premio Nobel per la letteratura nel 1958. Il 10 febbraio del 1890 nasceva a Mosca, Boris Pasternak, da il pittore russo Leonid Osipovič Pasternak, e la madre Rosa Kaufmann. Muore il 30 maggio del 1960 a  Peredelkino, in povertà assoluta a causa del KGB che confiscò tutti i beni al poeta, per avere accettato il Premio Nobel, e altre vicende.

Curiosità: Il figlio Evgenij Pasternak, dedico gran parte della sua vita alla memoria del padre, scrivendo anche dei libri.

 

 

Andavano e sempre camminando cantavano eterna memoria, e a ogni pausa era come se lo scalpiccio, i cavalli, le folate di vento seguitassero quel canto.
I passanti facevano largo al corteo, contavano le corone, si segnavano. I curiosi, mescolandosi alla fila, chiedevano: “Chi è il morto?” La risposta era: “Živago.” “Ah! allora si capisce.” “Ma non lui. La moglie.” “È lo stesso. Dio l’abbia in gloria. Gran bel funerale.”
“Incipit, Il Dottor Zivago”