“Vivere, morire: sono solo le conseguenze di ciò che abbiamo costruito. Quello che conta è costruire bene.” Questo romanzo ha due protagoniste femminili: Renée, una portinaia di un elegante palazzo di Parigi e Paloma, una ragazzina dodicenne figlia di un ministro che vive proprio nello stesso palazzo. Sono molto diverse tra loro per età, estrazione sociale, passato. Eppure hanno un animo affine, una sensibilità spiccata che cercano entrambe in tutti i modi di nascondere al mondo. Hanno la stessa capacità di vedere il bello ma anche di scorgere la bassezza che le circonda. L’unico a accorgersi di questi punti comuni è Ozu, il nuovo inquilino giapponese grazie al quale le due intrecciano una grande amicizia. La storia appassiona e diverte grazie alla trama e allo stile ironico. Ma attenzione: l’autrice spesso inserisce importanti riferimenti letterari o filosofici che potrebbero rendere la lettura un po’ difficile per chi non conosce l’arte in generale o teorie filosofiche piuttosto difficili come quella di Hegel. Io non ho avuto difficoltà da questo punto di vista ma non sono riuscita a apprezzare il finale. Il libro mi è piaciuto molto fino alle ultime 10/15 pagine, quando piomba sulla vicenda una tragedia che secondo me centra poco e niente con il resto. La Muriel palesa sì la morale della storia che è quella dell’importanza di vivere bene e costruire in modo autentico durante il corso della nostra esistenza, però comunque il dramma finale mi ha lasciata perplessa perché assolutamente non in sintonia con tutto il resto.

 

Alessandra Micelli