“Scoprì come coloro che erano stati nutriti con amore e allevati con tenerezza sapessero mostrarsi sereni nelle privazioni e capaci di affrontare sofferenze che avrebbero stroncato molti di più solida tempra, in quanto gli animi loro racchiudevano ogni elemento di felicità, di calma e contentezza. Vide che le donne, le più fragili creature di Dio, superano più spesso le angustie, le avversità, il dolore, e questo perché nei loro cuori alberga una perpetua fonte di affetto e dedizione. E soprattutto vide come gli uomini simili a lui, che mostrano i denti alla giocondità degli altri, fossero i più torvi germogli su questa terra benedetta e, confrontando tutto il bene del mondo con il male, giunse alla conclusione che, in fondo, la vita era cosa assai attraente e rispettabile.”

Questo è il terzo romanzo di Dickens che leggo e che mi ha ancora più convinta di quanto vorrei conoscere meglio l’autore. Premessa: gli altri sono “Due città” e “Oliver Twist” e entrambi mi sono piaciuti di più rispetto a “Il circolo Pickwick” che però comunque mi ha ancora una volta mostrato la grandezza dello scrittore. Questo libro è ironico, divertente, drammatico e attento alle dinamiche sociali. La penna di Dickens è un continuo provocare mettendo in luce l’ipocrisia e la miseria della società a lui contemporanea. In questo romanzo esordiente, l’autore inglese accenna insomma molte sfaccettature di quelle che saranno le peculiarità successive della sua scrittura; sicuramente si mostra più comico, scegliendo come protagonista un uomo goffo e un po’ ingenuo, insieme al suo gruppo di amici altrettanto maldestri. È il servo del sig. Pickwick, Sam Weller, colui che il più delle volte tira fuori dai guai padrone e circolo intero, mostrando una malizia e una furbizia totalmente estranee al protagonista. Questa relazione servo-padrone è centrale nel libro che, se nella prima parte risulta più una raccolta di racconti, nella seconda diventa più omogeneo nella sua trama. Diversi capitoli sono dedicati a storie totalmente estranee all’intreccio generale e toccano punte di drammaticità che li hanno resi ai miei occhi le parti più belle del romanzo. Sono queste parentesi che mi hanno davvero affascinato, lasciando la parte più burlesca in secondo piano. Motivo per cui, credo, ho preferito gli altri titoli di Dickens.

Alessandra Micelli