Rimase ancora a lungo ad osservare il viale deserto, insensibile alle mani che la strattonavano. Si sentì afferrare i capelli e tirare forte, ma nessun dolore poteva anche solo somigliare al tradimento di suo padre. Sperava, sì, sperava e disperava, di vederlo riapparire sulla soglia del cancello lasciato aperto.
I segni dell’autunno incalzante nelle foglie che ricoprivano il viale, strisciando accartocciate smosse dal vento, poterono per qualche istante distrarla dall’attesa. Il cielo s’incupì, si sollevarono in tante girandole, dapprima irrequiete poi furiose, per andare giù sfinite e appesantite da una pioggia che cadde al suolo senza preavviso.
Osservò il fenomeno rapita, l’aveva visto altre volte, ma non così, con la consapevolezza che qualcosa di grave le era accaduto e le foglie in rivolta parlassero a una nuova lei, quasi avesse salito il gradino di una scala altissima e la prospettiva le avesse offerto una visione in più dell’intero che sfuggiva alla sua vista.
Avvertì l’acqua sulla pelle, la testa inzupparsi e la presa delle mani della donna allentarsi. Ne approfittò per correre al cancello, ignorando le parole ingiuriose della donna, cementata nella posizione in cui l’aveva lasciata, con le mani sulle sue spalle inesistenti e i piedi piantonati a terra. Non si sarebbe data pena d’inseguirla, ma una piega del labbro si accentuò di malizia rassegnata. Chissà quanti altri aveva visto fuggire.
Eppure, più correva, più la soglia sembrava allontanarsi, voleva oltrepassarla come se questo volesse dire tornare a riprendere l’attimo in cui aveva ancora il cappotto rosa e il sorriso rassicurante della vecchia nascosto in un finto rimprovero.
Si fermò, non c’era altro. Oltre il cancello, come sul bordo del quadro, quando aveva preso coscienza della sua esistenza, nessuno aveva disegnato nulla, un vuoto di colori, di oggetti, di spazi pieni, di braccia dove rifugiarsi.
Nessuna ombra avanzava ansiosa di riprendersela.
Poteva lasciarsi cadere anche lei, sfinita come le foglie, spostando i piedi oltre la soglia per farsi ingoiare dal vuoto, sparire nelle strade in cerca di suo padre oppure tornare indietro, scoprire perché era stata lasciata lì, entrare nel mondo cui non sentiva di appartenere, ma di esserci soltanto piovuta dentro per ragioni che erano ancora troppo grandi da sondare.
Si concentrò sulla pioggia, amplificando tutti i sensi per coglierne i suoni, gli odori, le sferzate e le carezze. Le piaceva pensare l’idea di essere pioggia anche lei, sollevò il viso e lanciò un grido gutturale, che poi raccolse tutta la forza delle viscere per risalire agli occhi e sciogliersi scivolando sulle guance.
Non volle sapere se era l’urlo della paura prima del coraggio o di un animale braccato e sconfitto.
Tornò indietro.

Mirela Stillitano