Quando, nel 1859, Dostoevskij ottenne il permesso di rientrare dalla deportazione della Russia europea aveva bisogno di qualcosa di clamoroso per riaffermare la propria posizione nel panorama letterario dell’epoca. Così che nella primavera del 1860 si dedicò alla stesura di un roman-feuilleton pieno di situazioni estreme, spregiudicate, delle quali si parlava con relativa disinvoltura, incentrate sul tema della fanciulla offesa e vittima di individui senza scrupoli. Sedotte e abbandonate: questo è il destino delle donne in Umiliati e offesi. Ma anche maledette dai propri padri. L’occhio di Dostoevskij si sofferma ad analizzare la relazione padre/figlia, e lo fa tramutando nel nucleo portante della narrazione: sono ben tre le coppie di padri e figlie che si avvicendano nelle pagine del romanzo, portando avanti ciascuna una linea narrativa e una modalità esistenziale che conducono a una conclusione differente. Le vicende sono tenute assieme dalla presenza del narratore Ivan Perrovič, che per tutti il romanzo si ispira frenetici da una casa all’altra, fungendo da testimone sociale e, alla fine, da vero e proprio Deus ex macchina. In questa figura si manifesta il tormento di Dostoevskij, giunto al punto di svolta della propria creatività e alla ricerca di un nuovo modello di narratore. Situazioni familiari che ci conducono in in viaggio tra sentimenti, emozioni, situazione deplorevoli, rabbia, sottomissione, rancore, disparità tra sesso, con l’occhio critico di un narratore attento che si annovera la mente e la propria persona in cerca di qualche appiglio o soluzione per portare aiuto o semplicemente conforto. Lo stesso narratore dei racconti, protagonista diretto del romanzo Ivan Petrovič rappresenta lo stesso Dostoevskij, con la sua disperazione e costernazione nel dover partecipare a situazioni spiacevoli, efferate, dense di rabbia e rancore in famiglie in cui l’uomo vuole, solo ed esclusivamente, esercitare il proprio potere e presunta superiorità sulla moglie e in particolare sulla figlia, costringendola a costrizioni e scelte sentimentali assurde. Si creano dei complotti amorosi e intrighi psicologici che portano a continuo soprusi del genitore nei confronti della figlia, bambina, ragazza e donna. Ma nel corso della lettura si scopre che non è solo ciò, ma Dostoevskij va oltre analizzando la mente e psicologia dell’uomo, che spesso a causa di condizioni e situazioni a cui si è costretti a vivere diventa fragile e labile tanto da portare ad artefatti meccanismi frutto di un copione mal scritto, di una parte teatrale che spinge ad affrontare conflitti esteriori, nei confronti persone care e vicine, e soprattutto interiori, a causa del continuo voler riscattarsi ma allo stesso tempo riuscire a mantenere tutto sotto controllo. Voler trasformare gli scheletri nell’armadio o acerrimo rapporto con le persone amate in un vero rapporto fatto di rassicurazioni, certezze, sostegno, conforto, reciprocità. Un romanzo fatto di emozioni, sentimenti, personaggi continuamente soggiogati dalla loro pochezza e debolezza, dove la mente vuole prevalere sul cuore, rancore e assurdità. Un viaggio interiore che richiede un certo tempo, per essere affrontato nel modo giusto per assorbire l’essenza stessa della narrazione e capire l’analisi critico-psicologica che Dostoevskij fa sulla situazione delle tre coppie di padre/figlia, contornata da eventi e situazioni che ognuno di noi si trova a vivere nelle sua vita quotidiana e personale. Rientra tra i romanzi minori e anche alla sia pubblicazione ha avuto molte critiche, ma sicuramente in esso Dostoevskij sfoggia la sua capacità di addentrarsi nella mente e nell’animo umano ineguagliabile descrivendo con raffinatezza e sentimento come nessun altro sa fare dimostrando che il suo stile si adatta ad un genere letterario quale il romanzo d’appendice che proprio in quelli si andava affermando nel panorama letterario mondiale. Una piccola nota, inoltre, può essere fatta sul titolo del romanzo. In lingua russa il plurale non fa riferimento di genere, maschile o femminile, ad evidenziare che i destinatari siano gli uomini quanto le donne.

Stefano Pagano