La storia dei Florio, potente famiglia di commercianti che contribuì alla floridezza di Palermo e della Sicilia, è seguita con penna sapiente sin dalle prime pagine del libro, che offrono uno squarcio potente sulle origini della dinastia. Prendendo le mosse dal terremoto che, nel 1799, costrinse Paolo e Ignazio a lasciare Bagnara Calabra, l’autrice racconta l’ascesa dei due immigrati in una Palermo che, sul finire del XVIII secolo, vedeva le proprie sorti economiche affidate a poche famiglie, incapaci di affrontare investimenti ad ampio raggio. Guardati con sospetto e ironia dagli altri speziali, che li ritengono “facchini” e “bottegai”, i due riescono, in un tempo relativamente ristretto, a creare un impero commerciale grazie a una volontà di riscatto che, nell’erede, Vincenzo, diviene ambizione bruciante. Il resoconto della scalata al successo dei Florio è inquadrato con precisione entro il contesto storico di riferimento attraverso una breve premessa che apre ogni capitolo, sicché la saga familiare riflette un più ampio processo, quello che porta alla fine del regno borbonico e all’inizio del difficile cammino verso l’Unità. Il tema portante si intreccia con la storia privata dei protagonisti. Indimenticabili le due figure femminili di spicco, Giuseppina, la moglie di Paolo, costretta a sposarlo contro la propria volontà e segretamente attratta dal cognato, e Giulia, l’algida milanese che vive invece una passione bruciante, che la porta a sfidare ogni convenzione sociale. Il romanzo è di grande interesse non solo per l’attenta ricostruzione, ma anche per l’attualità di una vicenda che aiuta a comprendere meglio la storia dell’Italia preunitaria, recuperando il modello del self-made man, caro a Verga e a tanta letteratura verista.